mercoledì 6 luglio 2011

3a BRESCIA NO LIMITS -

Pubblichiamo un'avvincente cronaca della 3a Brescia No Limits, svoltasi Domenica 3 Luglio, redatta da Laura Amisano che ha gareggiato nel team Continuavano a chiamarli trinità in compagnia di Giuseppe Macis e di Matteo Fusè.

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Chi ha nascosto la gallina?
Di Laura Amisano

Per settimane ho fantasticato su come si fa ad acchiappare una gallina, per giorni e giorni la gallina è stato il simbolo di qualcosa, di una giornata di allegria; il popolo della gallina, che è un animale stupido ma tutto sommato simpatico, era il popolo capace di correre e fare cose strane e inutili, solo per il gusto di farlo.
Ma la gallina non c’è stata.

Questo non ha reso meno divertente la giornata di domenica scorsa, a Brescia, in occasione della Brescia no Limits, 5a edizione. L’acronimo ricorda un istituto di credito, ma in questa particolare banca l’unica cosa che si può depositare è il divertimento, e anche un po’ di fatica.
Siamo partiti in gruppetti, chi ha dormito in loco, per non alzarsi troppo presto, chi è partito da sud, chi da nord di Milano. Appuntamento a Brescia, al massimo alle 8.00. e Lì c’eravamo tutti, noi popolo di una gallina che non ci sarebbe stata, e forse lo avevamo anche intuito. Ma che importa? Vestiti di canotte verdi maldestramente dipinte in finto mimetico, e con i giallissimi (colore marziano) nomi delle squadre, ci siamo mescolati alle altre squadre. L’idea è quella di correre per venti chilometri, superando numerosi ostacoli, più o meno difficili. Così allo sparo si inizia con un furgone messo di traverso, sul quale lascio il primo stinco sano, ripartendo lesta con uno stinco solo J poi viene il  fuoco, che più che altro è fumo… (ma dov’è l’arrosto? E la gallina?), ci chiniamo per non soffocare aspettando il turno per salire sul prossimo e ci inerpichiamo sul primo cavallo di Frisia, per chi non lo sapesse è un coso alto tre metri fatto di legno, si sale di qui, si scende di lì, scavalcandolo. I tronchi trasversali fanno da pioli… insomma, quando sono stata su, ho pensato “uhm?!” ma poi ce l’ho anche fatta a non cadere, e via correndo verso i covoni di paglia, salta, spingi, spingiiii il culone pesante! E lì ho lasciato un po’ della pelle delle cosce, perché così dev’essere. La coda è il momento adatto per sfottò inverecondi sui popò che stanno in alto, gli uomini fanno a gara a lasciar passare le ragazze, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte. Ancora Frisia, devo documentarmi sul perché si chiama così, ancora paglia… ancora grattugia, ma come faranno gli altri? Con me ci sono i baldanzosi Peppe e Matteo… spingono e tirano una Laura già fisicamente diversa da dieci minuti prima. Si va, si va, avanti… non ho un ricordo precisissimo del susseguirsi degli ostacoli, so che abbiamo percorso un lunghissimo canalone, una specie di letto di fiume (?) dove però un gigante malevolo ha disseminato muri di varia altezza, dal mezzo metro, ai due e oltre, ci si arrampica, si salta, si appoggiano ginocchia e mani, si suda. Tra uno e l’altro il sentierino è un cunicolo tra vegetazione selvatica, poche spine (mi dicono) rispetto allo scorso anno, ma l’ortica ammicca d’in fra le fresche frasche, e zac! Mordicchia le nostre tenere carni… “Non grattare” mi dice Peppe, e io, che mi sono trasformata in un marine ubbidiente e disciplinato, obbedisco, disciplinatamente. Anche se una maledizione mi sfugge dai pensieri… Ancora sentiero, ancora vegetazione tentacolare, ancora muretti, murotti, muroni, ma quanti sono? Ma che fatica! Mi chiedo:”Come farò a correre dopo tutto ciò?”.
Arriva una grotta, una piccola apertura buia, i volontari ci indicano il cammino, e oplà, c’è anche il fotografo di là… si sa, la foto è sacra. Fammene una così CLICK, fammene una cosà CLICK, faccene una tutti insieme, di nuovo click. Simpatico il fotografo! Grazie amico, e via…. Ma troppo frettolosa mi alzo quando ancora la roccia è sopra di me, e lei mi morde forte la spalla, GNAM! AAAHHH! Che male assurdo! Che male assurdo fa la roccia sulla pelle… è solo un graffio, ma fa un male cane. Mi giro e dico a una biondina dietro di me:”Attenta che è basso” almeno lei si salverà dal morso.
E via ancora, sentiero, sentiero di costa, bel sentiero morbido, e via via via, si corre… oddio, nel mio caso si corricchia… sono già sfinita. Una cosa bellissima accade, ci chiamiamo tutti fra di noi:”uuhhuhh!” “ehi? Mancolicaniiiii!” “Finoallamorteeee!” i nomi delle squadre riecheggiano. Riecheggiava anche la ricetta per il risotto con le ortiche poco fa… mmmhh! Da provare! Vediamo schizzare Valerio alla ricerca dei compagni…

Cosa viene dopo? Non saprei, forse i gradini, forse un po’ di strada asfaltata… I gradini sono mille, e non sono proprio gradini… ma una salita ripiderrima. Ma no, prima c’è la collina, ecco sì, la collina, una salita infinita, di sentiero e pietre, di caldo e sudore, di fatica, pura fatica, siamo tutti insieme noi cinque, ci manca Pino, e Marino e le sue bond girls sono più avanti… ma noi cinque siamo lì… Giovanna non si sente bene, si ferma. A malincuore la lasciamo lì (non da sola, ma con i volontari, al fresco di un alberello gentile)… ma lei ci sorprenderà più tardi. Mi fermo mille volte, mi sento un peso per la comunità, ma gli amici sono con me, il cuore batte troppo forte. Alla fine di tutto ciò, troviamo l’acqua di un simpatico signore, che ha messo due bottiglie sul muretto vicino casa. Davvero, questi sono i gesti che ti fanno capire che gli uomini sono gentili, lui è gentile e se qualcuno lo conosce, gli dica grazie ancora una volta. Riempiamo le borracce, e via di nuovo, ecco sono qui i gradini. Con noi c’è Paola, una vera pantera grigia, una signora di 63 primavere che mi dà la pappa in corsa… quei mille maledetti sono a metà. Ecco che la sorpresa arriva, durante la sosta acqua, Giovanna è di nuovo con noi, e con lei anche Pino, che avevamo perso di vista. Siamo tutti e sei di nuovo insieme. Si sale si sale ancora. Ritroviamo un gruppo di pecorelle smarrite, che avevano perso la strada, li chiamiamo a gran voce nel bosco, per guidarli fino a noi, Ylenia è con loro, poi ritroveremo anche Alfredo e Gisella. E si riparte, un po’ più numerosi. Strada asfaltata, fontanella… fine della salita, un po’ di discesa finalmente… si va verso il castello dove le prove più divertenti ci attendono. Il sentiero nel bosco è costato un po’ di ferita sia a Paola che a Giovanna, ma loro son donne temprate, e non è che si fermano per qualche lividuccio o qualche sbucciatura, ho visto colombe volare con meno grazia di loro, mi perdonino se le prendo un po’ in giro. In realtà mi sono molto preoccupata, ma a loro non ditelo…ssshhh! Marco è il nostro show man, Marco è una lenza! Le mura del castello conservano il lugubre suono del suo inutile BUUUU! Ma … dopo la discesa per i ciottoli lisci c’è la salita per i gradini, altrettanto lisci, insomma, un su è giù spacca gambe; ma tutti insieme si fa. Si ride, ci si aspetta, si beve, si mangia… ci siamo fermati più volte, a fare merenda. Siamo in autonomia, perciò le derrate sono utili, e Matteo, che se ne intende, ha persino il salame, e i crackers… uomo meraviglioso!
Il castello fa di noi dei tiratori scelti, e degli spaccalegna, e anche dei “paracadutisti”… o meglio, di lei: Giovanna, eroicamente lanciata dalle mura, io mi rifiuto, ho le lacrime solo al pensiero, son fatta così, quando ho paura, piango. Perciò mi carico anche io un bel tronco e scendo, conscia di avere anche 10 minuti di penalità… speriamo che Peppe e Matteo non se ne abbiamo troppo a male. Il tiro a segno si è rivelato un successone per tutti noi, che tronfi possiamo riprendere la nostra corsa verso l’infinito.
Dopo il castello si corre per strada, per qualcosa che a me pare un tempo infinito (eccolo qua, lo dicevo che c’era), in realtà manca poco all’acqua, manca poco alla fine, siamo più o meno al km 15… o giù di lì e come sempre mi ritrovo a pensare:”mica ti puoi fermare negli ultimi cinque maledetti chilometri no?” Infatti non mi fermo.
Lasciatemi pensare, che accade dopo? Mmhh… Be’, si arriva all’acqua, dove ci attendono nell’ordine: un ponte tibetano, un ponte sospeso (una corda), un passaggio a passo di leopardo (non so se avete presente, belli sdraiati pancia a terra e strisciare su mani e gambe) da fare in un rivolo d’acqua, un laghetto da attraversare a nuoto, le canoe, un altro passo del leopardo, ma stavolta nel fango…

I ponti li tralascio, perché non avrei la forza, e poi c’è da aspettare. Aggiungo che qui ritroviamo il nostro gigantesco Marino, e le sue due affascinanti bond girls: Barbara e Hila. Aspetto che i miei due testosteronici colleghi passino i ponti, e poi mi leopardizzo… con un filo di orgoglio femminile devo dire che il mio leopardo è molto più leopardo del loro, che sciaquettano a quattro zampe, senza toccare col pancino… io invece mi ci gioco entrambe le ginocchia, che l’acqua mi anestetizza temporaneamente, ma quando ne esco, loro mi mandano a quel paese… e a ragione, sono tutte sbucciate.
Chiseneimporta! Via di corsa, verso il laghetto… zac, infila il giubbetto salvagente… salgo sulla canoa e chiedo di essere sospinta con gentilezza, visto che i volontari hanno dimostrato un certo qual impeto con chi mi ha preceduto… pagaio, pagaio, pagaio, e non va malissimo, un po’ giro a vuoto, un po’ avanzo. Matteo perde gli occhiali, ma i sommozzatori eroicamente glieli recuperano. Evviva loro! Tengo il giubbetto, perché non ho più la forza di nuotare, e poi ho su le scarpe. Come entro nel laghetto numero due, che è più fango che acqua… affondo i piedi in qualcosa di morbidissimo. Li sollevo, mi lascio sostenere dal giubbetto e mi tiro con la corda (ovviamente se uno non sa nuotare quelli mica ti fanno affogare per lo sport!) e così, con tutte le mie ferite aperte, sguazzo in quel brodo primordiale, sperando che non ci siano batteri più cattivi di me. Ne esco rinfrescata e con dieci chili in più nelle scarpe. L’ultimo leopardo lo faccio come un gattino spaurito, sulla punta di dita e di piedi, perché QUELLO E’ FANGO VERO! E il vibrione è di certo in agguato. Le mie manine diventano marroni… e i nostri deretani si coprono di manate! Ecco, a questo punto ci aspettano duechilometriinfinitidicorsafinoallarrivoooooooo

Non c’era più nessuno al nostro arrivo, eravamo gli ultimi, prima della scopa. Di nuovo i Frisia e i covoni, che io passo urlando:”non se ne parla neppure, sono troppo stanca e non voglio morire, ho due figli e due gatti da mantenere!” Gli astanti approvano scuotendo il capo su e giù, o così almeno pare a me. Finalmente sono riuscita nel mio intento: io competo sempre per l’ultimo posto! Ma questo arrivo noi lo facciamo tutti abbracciati, e chi se ne frega se nessuna foto potrà immortalare questo momento, perché noi che c’eravamo, lo abbiamo conservato nel cuore.

Grazie Brescia no Limits, anche senza gallina, alcuni dei miei limiti li ho superati, anche se non tutti.




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